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LA TIRANNIA SI ALIMENTA DI PAROLE
DI NADIA FALCONE

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LA TIRANNIA SI ALIMENTA DI PAROLE
DI NADIA FALCONE

La tirannia si alimenta di parole e crea un baluardo culturale, dove tutti finiscono per adeguarsi.

La memoria collettiva è debole, spinta a soddisfare i bisogni primari, esigenze immediate, non mira alla sostanza, ma al materialismo “spicciolo” che sazia la pancia.

La prevaricazione linguistica a discapito delle minoranze culturali che a fatica resistono a questa traduzione imposta dalla politica globale, produce la scomparsa delle identità storiche e linguistiche che per secoli hanno contraddistinto i popoli. Per secoli la punizione babelica è apparsa una benedizione culturale e linguistica.

Occorre tuttavia riconoscere che se da un lato questa perdita appiattisce il sapere e la capacità di raccontare più mondi possibili, dall’altro unisce l’occidente con l’oriente, il meridione al settentrione, in un desiderio unico che illude all’umanità, come se questa sia determinata dall’omologazione culturale.

La storia insegna che ogni nuovo impero imponeva la lingua dello stato vincitore a discapito delle altre, desiderio di unità? È un fatto che l’unità linguistica favorisce la diffusione culturale e in qualche modo un controllo sociale.

Ed è con questo spirito di “nuova evangelizzazione”, che il modello prevaricatore fagocita le lingue e connette le culture, come panacea alla diversità, come se la diversità fosse un male da curare, anziché coltivare.

Nella cultura dell’altro, della tolleranza, il valore era la diversità, in cui in esso si cercava il completamento dell’umanità; nella cultura dell’altro c’era la fatica della “connaissance”, quella capacità di entrare dentro l’essenza dell’altro, in uno sforzo che umilmente approcciava a conoscere, in un’esperienza emotiva, mondi nuovi.

Oggi quello spirito appare superato, l’egemonia delle nazioni potenti, su altre nazioni, passa attraverso l’innesto sapiente del world wide web, che con le tripla w sembra già voler presagire la vittoria di questa enorme rete culturale, in una guerra silente, eppure persistente.

In circa un ventennio il mondo è cambiato, la cultura sempre più all’occidentale, evidenzia una scelta strategica di diffusione a macchia d’olio della moda, dell’inglese, dei modelli comportamentali, tanto da essersi diffusa anche in quella parte di mondo che appariva così distante.

La non connessione è vissuta in questa generazione mondiale come privazione delle libertà ed è oggetto di scontro con le autorità locali.

Il desiderio di incontro si traduce nella connessione libera senza filtri.

Tutta questa invocata libertà finisce per depauperare la cultura primigenia non solo della lingua ma anche della scrittura, dove i caratteri latini hanno la meglio.

La torre di babele è un mero ricordo.

Muoiono le lingue, cambiano i saperi e l’altro è sempre meno diverso da me.

È la nascita di un nuovo mondo?

È una nuova conquista egemonica travestita da libertà?

È una nuova campagna russa?

E intanto l’Uzbekistan tenta un ritorno ai caratteri latini contro il cirillico, che era stato imposto dall’autorità russa.


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